venerdì 3 novembre 2017

Alfonsus di Loria me fieri fecit 1574 (seconda parte)

Come anticipato nel precedente post, con Vittoria di Loria, dopo un secolo e mezzo circa,  si chiude il dominio della dinastia Loria (o Lauria) a Maierà. Vittoria è difatti l’ultima baronessa della famiglia ma, contemporaneamente, è con lei che inizia un’altra importante pagina della storia di Maierà: è con lei che la famiglia Carafa entra nella storia del nostro paese.
Stemma Carafa della Spina nella
Chiesa del cimitero di Maierà
La famiglia Carafa è una delle famiglie nobili più importanti di tutto il regno di Napoli, e in quel periodo (siamo nella seconda metà del 1500) una delle più influenti sia a livello aristocratico che ecclesiastico. Alla famiglia Carafa appartennero numerosi e valorosi guerrieri, ben sedici Cardinali, molti Vescovi e persino un pontefice, è il caso di Papa Paolo IV al secolo Gian Pietro Carafa pontefice di Roma dal 1555 fino alla morte avvenuta il 18 agosto del 1559.
Dal ramo principale della famiglia Carafa nel corso dei secoli si distinsero vari rami, tuttavia tra essi due sono passati alla storia, per eventi e personaggi che li hanno visti protagonisti: i rami Carafa della spina e Carafa della stadera. La leggenda vuole che due cavalieri della famiglia Carafa parteciparono ad una giostra (i cosiddetti giochi medievali) che si teneva a Napoli presso la chiesa di San Giovanni a Carbonara. Il re Carlo II d’Angiò, vedendo che i due avevano lo stesso stemma, ovvero uno scudo con tre fasce argento su fondo rosso, pensò bene di chiedere agli stessi di differenziarsi durante i giochi. Uno dei due prodi allora prese una spina e la conficcò nello scudo. Da tale episodio nacque la dinastia Carafa della Spina. L’altro ramo, invece, nello stemma o in gergo nobiliare, nella sua arma, presenta all’esterno dello scudo con tre fasce argento su sfondo rosso, una Stadera cioè una bilancia.
Tornando a Maierà, la nostra storia è strettamente legata al ramo dei Carafa della Spina. Vittoria di Loria sposa Lelio Carafa della spina e dalla loro unione vedono la luce due fanciulle, Giulia e Maria. Ho già detto, amici lettori, che morto Lelio, Vittoria si ritirò tra le mura del castello a vivere come una suora, furono i diverbi con il padre Alfonso III a spingerla ad uscire dal castello di Maierà e sposare il gentile Fabio Bologna. Vittoria muore il 22 settembre 1598 lasciando il castello nelle mani delle sue figlie e in particolare della primogenita Giulia.
Palazzo Carafa della Spina fatto costruire
da Fabrizio Carafa marito di Giulia Carafa
(Napoli ,via San Domenico Maggiore)
Di Giulia Carafa, nata nel 1587, sappiamo poco, anche se le sue vicissitudini, la lapide marmorea che la ricorda nella chiesa del nostro cimitero, hanno fatto fantasticare e sognare un po’ tutti sulla vita della principessa (titolo non esatto) di Maierà. Giulia a soli 14 anni, il 22 luglio del 1601, sposa suo zio Fabrizio Carafa della Spina, con dispensa apostolica, ovvero con una lettera del Papa che autorizzava le nozze tra consanguinei. Altri tempi, quando l’amore passava in secondo piano, ciò che contava era il titolo, il blasone e il potere. Fabrizio Carafa della Spina del resto era un personaggio molto potente per quell'epoca, conte di Policastro e di Roccella (jonica), duca di Forlì, patrizio Napoletano, governava su un territorio molto vasto. Il suo potere, la volontà dei nobili di imparentarsi con gente dello stesso calibro,o forse il fatto che Giulia fosse rimasta orfana,  portarono Giulia a sposare suo zio. Dalla loro unione nacquero 5 figli, Gian Federico Alfonso (nato il 9 giugno del 1602) morto però in fasce, Francesco, Giuseppe (30/10/1603), Giovanni e in fine Laura (marzo 1608).
Fu forse quest’ultimo parto a debilitare irrimediabilmente il fisico della giovane contessa di Majerà, che a soli 21 anni nel 1608 si spense tra le mura del castello circondata dall’affetto dei suoi figli e di suo marito. Questo è ciò che leggiamo nella lapide presente nella chiesa del cimitero la quale recita: D.nae Juliae Carafae Polycastri Comitissae Polycastrensis Domus jam Collabentis instauratrici conjugi amatissimae. D. n Fabritus Carafa unico vitae suae oblectamento immaturé viduatus. Objit MDCVIII. Etatis suae XXI.
Fabrizio, pur amando la nostra Giulia, non perse tempo e poco dopo il 30 aprile 1609 prese in moglie la nobildonna Eleonora Santacroce. (Qualche anno dopo nel 1614 Fabrizio si sposa per la terza volta con Francesca Coqui).

Morto Fabrizio Carafa (marzo 1630), il titolo di Conte di Majerà passa a suo figlio primogenito, nato dalle nozze con Giulia, ovvero Francesco Carafa della Spina.  Egli, viste le difficoltà economiche della famiglia e il periodo poco favorevole per la nobiltà Napoletana, decise di disfarsi del territorio di Majerà vendendo lo stesso al nobile di Buonvicino Don Marc’Aurelio Perrone (6 aprile 1638). Ma pochi anni dopo, nel 1647, Don Fabrizio junior (figlio di Francesco) torna nuovamente in possesso della terra di Majerà.
Fu questa un'epoca molto complicata e difficoltosa per il popolo di Maierà, ma in generale per tutto il Regno di Napoli. Era il periodo della peste che imperversava in tutta Italia, accanto ad un'altra pestilenza, questa volta umana però, cioè le scorribande saracene che sbarcando sulle coste saccheggiavano, depredavano e distruggevano ciò che incontravano.
Se la peste non arrecò danni al nostro paese, se non per un lieve spopolamento, in quanto molti abitanti decisero di andare via in cerca di miglior fortuna nelle Terre vicine, diverso fu il discorso per gli attacchi saraceni: è il 1661 quando i corsari Turchi, provenienti da Biserta una località vicino Tunisi, saccheggiano la Chiesa Madre, rubano oggetti sacri in argento e oro, e quanto c'era di prezioso, bruciano arredi e distruggono finanche la pietra del Fonte Battesimale.

Anni complicati anche per la dinastia dei Carafa. Il castello nel 1647 fu teatro di un vero delitto d'onore. Gennajo Carafa fratello di Fabrizio Carafa Conte di Majerà, geloso del fratello e dopo varie diatribe con lo stesso, fomentate, secondo lui, dal loro istitutore, un certo Antonico di Luca, una sera di quel 1647 si presentò nel castello di Majerà con sei sicari e fece uccidere Antonico per poi fuggire a Napoli.
Tuttavia tra diatribe, conflitti interni, pestilenze e saccheggi, il feudo di Majerà resterà nelle mani della famiglia Carafa della Spina fino ai primi decenni del 1700.

(Per le foto scattate a Napoli ringrazio Chiara Cerrone. Preziosa la sua collaborazione e utilissime le ricerche effettuate nei luoghi da me indicati. Grazie.)

Lapide marmorea commemorativa della Contessa Giulia Carafa della Spina,
 visibile nella chiesa del Cimitero di Maierà. 

Spegni torcia, dettaglio del portale di Palazzo Carafa della Spina,
 Napoli via San Domenico Maggiore.

Cappella Carafa della Spina nella Chiesa di San Domenico Maggiore (Napoli)


Lapide marmorea posta nella cappella dei Carafa della Spina in San Domenico Maggiore (Napoli)
Epitaffio dedicato al I Duca di Maierà Francesco Carafa della Spina (Duca dal 1666 al 1689)




giovedì 21 settembre 2017

Alfonsus di Loria me fieri fecit 1574 (prima parte)

Un amico, qualche giorno fa, fece questa domanda a me e agli altri presenti: Maierà potrebbe essere la location ideale per una reunion dei fans de Il Trono di spade? Tra scetticismo, scarsa familiarità con la serie televisiva, il mio amico non ebbe una risposta sufficiente alla sua idea e il discorso virò su tematiche meno utopistiche. Tuttavia, pensandoci adesso, dopo qualche giorno, l’idea non sarebbe così malsana. Maierà del resto ha vissuto l’epoca delle spade, dei coltelli, dei troni e dei castelli. Nobili uomini e nobil donne si sono susseguiti nei secoli sul trono, o meglio, sullo scranno del castello di Majerà; amori, passioni, cospirazioni e intrighi si sono celati tra le sue mura. Personaggi e storie che fanno volare la mente e l’immaginazione ad epoche lontane quando baroni dal sangue blu si contendevano il nostro paese. Il castello di Majerà da tutti conosciuto come il palazzo ducale, è uno dei luoghi più affascinanti e importanti del nostro patrimonio storico. Facendo un breve excursus storico, tuttavia, bisogna partire dal principio, o meglio, dal primo castello di Maierà, quello edificato intorno all’anno mille nei pressi della porta grande del paese, ovvero la Porta Terra o Porta della Terra. La prima costruzione a difesa dei terrazzani, cioè dei cittadini, era un tutt’uno con la porta del paese e la Guardiola, la torre di avvistamento posta sopra la Porta stessa. (apro una parentesi, non si può non ricordare l’ultimo torrigiano della guardiola, l’ultimo abitante di vico Guardiola, cioè Rinaldo Valente, la simpatia fatta persona).
Successivamente, intorno alla prima metà del XVI° secolo viene costruito l’odierno Palazzo Ducale, immenso, imponente, ricco di affreschi, con le sue scalinate in pietra e le incisioni poste li a narrarci la sua storia, la stanza della cisterna utile a raccogliere l’acqua piovana, le stalle, e il passaggio preferenziale alla Chiesa Madre.  Storia, quella del Castello di Maierà strettamente collegata a quella della famiglia Loria o Lauria. Fu proprio il barone Alfonso di Loria, ai primi del ‘500 a volere la costruzione del castello e il rifacimento della Chiesa Madre. Ma, spulciando nei testi che narrano la nostra storia, sorge spontanea una domanda, di quale Alfonso stiamo parlando? Si, perché nella storia della dinastia dei Loria il nome Alfonso ricorre spesse volte.
Partiamo col dire che l’intreccio Maierà – famiglia di Loria inizia nel 1420 quando risulta feudatario della Terra di Majerà un certo Zardullo di Loria. Da lui arriviamo al primo Alfonso di Loria che nel 1464 ottiene in dono Majerà dal fratello Ruggiero di Loria. E’ nel 1525 che la Terra risulta intestata ad Alfonso II di Loria , colui che come detto fece costruire il castello e abbellire la Chiesa Madre. E’ lui l’Alfonsus inciso nello stemma che campeggia sul cancello del palazzo, accanto ad un altro nome, Beatrix, ovvero Beatrice Raimo, sua moglie.
Nel 1549 risulta possessore di Majerà Luigi di Loria, figlio di Alfonso, e padre di Alfonso III di Loria (detto anche Alfonsetto) che lascerà la sua firma sulla storia di Maierà. Nel 1552 questo Alfonso sposa Giulia di Bernaudo di Cosenza  e dal loro matrimonio nacquero due figlie Vittoria e Beatrice. A lui è riferita l’incisione visibile sulla scalinata esterna del palazzo “Alfonsus di Loria me fieri fecit 1574 ”, in quanto anche lui, come suo nonno, fece riparare, ingrandire e abbellire il castello. Morì il 2 dicembre del 1597 e le sue spoglie furono collocate nella Chiesa di Santa Maria del Casale (la chiesa del Cimitero).
Affascinante, al pari della protagonista di un fantasy come il Trono di Spade, la storia dell’ultima Baronessa di Majerà appartenente alla famiglia Loria. Vittoria di Loria, primogenita ed erede di Alfonso III, fu una donna tenace, caparbia, ma alla fine sottomessa al rigore e al costume dell’epoca come tutte le protagoniste de romanzi  o dei film ivi ambientati. Vittoria andò in sposa a Lelio Carafa conte di Policastro, e dalla loro unione videro la luce due bambine Giulia e Maria. Rimasta precocemente vedova fu molto rattristata dalla perdita del marito tanto da ritirarsi in un’ala del castello di Majerà e intraprendere una vita monastica secondo la regola domenicana.
Dopo numerosi diverbi con i genitori che non accettavano questo suo atteggiamento, l’11 gennaio 1597 a Napoli sposa il nobile Fabio Bologna, che le dona la possibilità di divenire per la terza volta madre di una bambina, cui viene dato il nome Olimpia, il 4 settembre 1598.
Dopo pochi giorni però, il 22 settembre 1598, Vittoria muore. Durante le ultime ore di vita il castello fu trafugato, mobili e biancheria furono gettati dalle finestre, ma successivamente restituite per paura della scomunica emanata dagli eredi. Una vita quella di Vittoria fatta di rinunce, sofferenze, amori anche non voluti. Destino, storia, che si ripete con sua figlia, la contessa Giulia Carafa, andata in sposa a suo zio Fabrizio Carafa (ma di Giulia vi parlerò un’altra volta).

Donne, uomini, bambine, popolani, storie e vite intorno al castello di Maierà. Prima di salutarvi voglio ricordare un altro episodio riguardante la vita del castello. Siamo nel 1690, la protagonista è Donna Maria de Ponte, duchessa di Majerà  e moglie del duca Francesco Carafa. Questa, soffrendo di una forma avanzata di ipocondria, in una gelida notte di gennaio si getta nel vuoto da una finestra del castello. Il Vanni ci indica anche il punto preciso (per quell’epoca), cioè dalla loggia interna che veniva definita dagli abitanti, loggia delle femmine. Per fortuna la nobil donna non subì danni, probabilmente si gridò al miracolo, tanto si intuisce dalle parole del Vanni che testualmente dice: “ e benché s’avesse dovuto fracassare in pezzi, pure si trovò sana, ed illesa, solamente tocca in pochissime contusioni esterne”. 
 To be continued……

La memoria è tesoro e custode di tutte le cose. (Cicerone)

sabato 20 maggio 2017

La Chiesa di San Giacomo


Maierà, ore 5:40

Cari amici, è da un pò di tempo che non scrivo, il tempo vola, le giornate passano senza accorgersene, e tra le tante cose da fare, qualcuna poi resta solo un’idea, un progetto. Ma per “fortuna” ci sono notti come queste, notti durante le quali non riesci a dormire perché il caffè gentilmente offertoti da tua cognata non ti aiuta ad adagiarti tra le braccia di Morfeo. Allora capisci che è il momento giusto per riprendere un discorso lasciato in sospeso, per dedicarti a quel che stai pensando da tempo.
In questo mio post voglio parlarvi di uno dei monumenti più antichi di Maierà: la Chiesa di San Giacomo.   Ad alcuni sembrerà strano sentire questo nome, tutti conosciamo la  Chiesa Madre, dedicata a Santa Maria del Piano, la cappella della Madonna del Carmine e la chiesa di San Pietro, ma nessuno di noi è mai andato a Messa a San Giacomo. Se invece di chiesa iniziassi a parlare dello “scarazzo” di Scifò (la buonanima di Angelo Ritondale), allora la cosa inizierebbe a farsi un po’ più chiara. Lo scarazzo, ovvero il ricovero per le capre o le pecore, posto vicino al cimitero, infatti è proprio la Chiesa in questione.
Ciò che vi resta, ciò che vediamo, rappresenta uno dei monumenti più antichi presenti sul nostro territorio. Stiamo parlando dell’VIII secolo d.C., uno dei periodi più floridi per l’area alto tirrenica e soprattutto più vivace per ciò che riguarda il cristianesimo meridionale. Numerosi gruppi di monaci orientali costretti all’esodo da Bisanzio a causa delle lotte iconoclaste seguite all’editto di Leone III l’Isaurico (717-740) e continuate dai suoi successori, cercarono rifugio nel sud Italia. In Calabria i monaci italo-greci apparvero fin dal VI-VII sec. d.C, in seguito all’invasione araba della Siria e della Palestina. Una seconda ondata si ebbe nell’VIII secolo proprio a causa dell’iconoclastia. L’ultima immigrazione si ebbe dalla Sicilia tra il IX e il X secolo, in seguito all’occupazione araba dell’isola, la quale determinò una concentrazione di monaci  nella stessa Calabria, in Puglia e in Basilicata, che sotto la guida di San Nilo da Rossano raggiunsero una perfetta organizzazione in comunità. Fu così che prese il via l’imponente fenomeno del monachesimo calabro-greco chiamato anche Basiliano in onore del suo fondatore San Basilio Magno (+ 379).
Questi monaci amavano vivere in luoghi poco abitati, nelle vicinanze dei boschi, e molto spesso, nei pressi di grotte e caverne. I monaci Basiliani furono molto importanti per tutta la regione e soprattutto per questa parte della Calabria: spinsero le popolazioni a procurarsi maggiori risorse dalla terra, effettuarono dei dissodamenti, bonificarono molte terre, edificarono Chiese, piccoli cenobi, aiutarono gli abitanti nell’apprendimento delle lettere e diffusero l’allevamento del baco da seta. Majerà godeva di una posizione ideale per lo stile di vita basiliano, ma soprattutto era vicina ad una zona molto influente e molto importante per ciò che riguarda il monachesimo calabro-greco, ovvero l’Eparchia del Mercoùrion , comprendente i centri della Valle del fiume Lao. Inoltre, a conferma della ricchezza e della vivacità di questo movimento religioso in questo lembo di Calabria, troviamo la figura di San Ciriaco da Buonvicino, monaco Basiliano nato intorno al X secolo, che attirò le attenzioni di molti in quel periodo, data la sua fama di santità già in vita.

Tornando a Majerà e alla nostra chiesa di San Giacomo, essa, costruita su di un gruppo di grotte scavate nella roccia che servivano da riparo ai monaci, al suo interno ci mostra la nicchia dove veniva riposta l’icona del santo e una cavità ricavata nella parete laterale dove venivano conservati gli oggetti sacri. A sud di essa, secondo quanto tramandatoci dal nostro Francesco Antonio Vanni, vi era anche un’altra chiesa dedicata a San Sebastiano, della quale però non rinveniamo alcuna traccia. Nel 1750 secondo quanto narrato nelle Cronache di Majerà, era possibile visitare entrambe le chiese, nonostante risultassero già profanate. Tuttavia bisogna ricordare che anche le chiese di San Pietro e di San Nicola sono di origini basiliane o calabro-greche.
La Chiesa di San Pietro, difatti, ricadeva nel territorio dell’Abbazia di San Pietro a Carbonara, un tempo importantissima abbazia basiliana. Non si può stabilire la datazione precisa, ma da quanto scritto dal Vanni e ulteriormente approfondito dal Campagna, sembra certo che in passato questa piccola chiesa doveva essere una delle più fiorenti abbazie basiliane dell’area del Mercoùrion. Di San Pietro dei Marcani, infatti, si hanno notizie e aneddoti sin dal X secolo; intorno alla metà del 1200, sotto l’egemonia Normanna mutò il suo nome in San Pietro a Carbonara, e amministrava una vasta platea comprendente gran parte del territorio di Majerà.
Ruderi San Nicola
La chiesetta di San Nicola, invece, situata alle spalle della Chiesa Madre, doveva essere un asceterio affiliato al monastero di rito greco di Santa Maria del Casale -  poi di San Domenico – (chiesa del Cimitero). Della chiesetta di San Nicola oggi è possibile ammirare solo le pareti esterne, in quanto profanata e destinata a diverso utilizzo, ma fino agli anni 30 del secolo scorso si potevano notare gli affreschi sulle pareti perimetrali e su quelle della piccola abside.

In conclusione una proposta, o meglio, un’idea da proporre e da discutere insieme: e se illuminassimo la chiesetta di San Giacomo? Mi spiego meglio….se dessimo rilievo a questo importante monumento istallando dei fari, tanto da illuminare la chiesa così da farla vedere dalla statale SS 18?  Ai posteri l’ardua sentenza ;-)

domenica 15 gennaio 2017

Universitas Macherate


Ogni paese, ogni città, ogni nazione ha una sua storia, una sua origine. Tale origine, spesso, viene rievocata nell'etimologia del nome stesso del luogo preso in esame. Se, ad esempio, prendiamo in considerazione l'origine del nome Italia scopriamo che secondo gli studiosi moderni il termine Italia significherebbe Terra degli Itali, antica popolazione che viveva nell'odierna Calabria. Se pensiamo a Roma invece la discussione si fa più complicata, molte sono le teorie, sia antiche che moderne, tanto da non rendere ancora oggi chiara l'etimologia del nome dell'Urbe. E Majerà? Da dove deriva il nome del nostro paese?
 
Dizionario dei luoghi della Calabria,
Valente Gustavo, 1973
Oramai è quasi una consuetudine, oserei dire, una tradizione, dovuta soprattutto all'encomiabile lavoro del prof. Campagna, affermare che l'origine del nome Majerà derivi dall'abraico M'ara che vuol dire grotta. Nel suo testo, Storia di Majerà, il professor Campagna dimostra questa sua teoria secondo la quale dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., molti profughi palestinesi trovarono rifugio nel sud Italia e quindi anche a Majerà, dove a fargli da riparo trovarono le varie caverne disseminate nel nostro territorio. Basti pensare alle grotte in località San Domenico o quella del Manco (bunker per i Majeraioti durante il secondo conflitto mondiale). Inoltre la presenza ebrea/palestinese a Majerà veniva attestata anche dall'uso, fino a qualche decennio fa, soprattutto durante il periodo Natalizio, di uno strumento molto caro al popolo ebraico, ovvero lo Shofar, un corno di montone usato come strumento musicale. E se l'origine non fosse ebraica, se non c'entrassero niente con noi gli ebrei, i corni e le fughe dei profughi? In realtà una fonte autorevolissima della nostra storia, ovvero le Memorie di Francesco Antonio Vanni, ci parlano di tutt'altro, non ci parlano di Ebrei ma bensì di Greci. Francesco Antonio Vanni nasce a Majerà il 17 aprile del 1698 da Biagio e Geronima Forte. Nel 1705 veste l'abito clericale e nel 1708 riceve la prima tonsura (taglio dei capelli). Dal 1712 al 1717 studia a Mormanno e nel 1720 si trasferisce a Scalea, dove insegna e svolge il mestiere di notaio presso il principe Spinelli. Quegli anni furono molto utili per la sua carriera, ma anche per le sue ricerche; difatti egli, innamorato del paese natio, grazie alla possibilità di gestire documenti e corrispondenze del principe, poté approfondire la storia di Majerà e apportarne nuovi dettagli. Le sue ricerche, i suoi scritti, confluirono nelle Memorie della Terra di Majerà, un manoscritto trovato per caso tra i documenti di Leopoldo Pagano (storico di Diamante) e conservato presso l'archivio storico di Cosenza. Secondo il Vanni Majerà deriverebbe dal greco Makhairas che vuol dire coltellaio. Infatti, già Gabriele Barrio nel suo De Antiquate et situ Calabriae (1571) accostava Majerà all'immagine del coltello: Machera idest Gladius (Machera cioè spada). Il Vanni prosegue affermando che molti altri studiosi hanno concordato con il Barrio, ma nessuno ha dato un senso preciso a tale definizione. Vanni allora ci viene in soccorso affermando che tale teoria può essere ricollegata o alla conformazione del territorio ove è situato il centro storico (a forma di falce) oppure per una questione essenzialmente caratteriale: il fondatore o gli stessi abitanti era valorosi e coraggiosi, impetuosi come coltelli. Discostandoci dal nostro illustre antenato, tuttavia, per comprovare l'etimologia greca possiamo avvalerci di altri elementi . Il primo di carattere etimologico, il secondo iconografico.
Stemma odierno di Maierato (VV)
Per ciò che concerne l'aspetto etimologico facciamo riferimento alla storia di una paese che non ha nulla a che vedere con noi, se non per il nome molto simile al nostro. Sto parlando di Maierato in provincia di Vibo Valentia, paese di 2.250 abitanti, che nel suo nome conserva le sue origini greche. L'antico nome di Maierato, infatti, vuol dire "Battaglia sacra", poiché in quel luogo avvenne uno scontro armato tra indigeni e occupanti greci. Il primitivo stemma del comune, del resto, raffigura due guerrieri in piedi su due pietre, con le spade rivolte verso il cielo. Tra le due figure compare una grande M e ad incorniciare la scena la scritta Macherato.
La testimonianza iconografica invece ci riguarda più da vicino. Lo stemma raffigurante un braccio d'uomo che impugna un coltello, campeggiante sulla scritta Universitas Macherae, è lo stemma più antico di Majerà. Sicuramente precedente al XVIII secolo, ci conferma che l'etimologia greca del nome Majerà è più che plausibile. Una precisazione: il termine Universitas non è da confondere con le odierne Università; purtroppo Majerà non è stata sede di una Università. Le Universitates erano i comuni dell'Italia meridionale, sorti già sotto la dominazione Longobarda (IX secolo). Fu Carlo I d'Angiò (1266-1285) a modificare il termine "Comune" in "Universitas" ossia Unione di tutti i cittadini. Le Universitas sopravvissero sino all'abolizione del feudalesimo avvenuta con decreto regio il 2 agosto 1806 ad opera di Giuseppe Bonaparte re di Napoli. Lo stesso ordinamento amministrativo disposto dal governo francese con la legge del 19 gennaio 1807 faceva di Majerà un luogo, ossia una Università, nel Governo (una moderna provincia) di Verbicaro. Il riordino successivo (4 maggio 1811), istitutivo di comuni e circondari, fece di Cirella frazione di Majerà (fino al 1876) e confermava la nostra cittadina nella giurisdizione di Verbicaro.
Dunque, in conclusione, Majerà terra di gente umile e accogliente, ma valorosa e coraggiosa alla pari di una lama di coltello.




venerdì 6 gennaio 2017

Quei primi di settembre del 1943

Il primo articolo di un giornale, o nel mio caso di un blog, è forse quello più difficile. Bisogna decidere bene con cosa iniziare, di quale argomento o tematica trattare, ecc. Fra i tanti argomenti a disposizione però preferisco iniziare con un ricordo, anzi, con un ringraziamento, ad una persona che nel poco tempo trascorso insieme mi ha trasmesso passione e amore per la sua terra di origine e per la sua storia. Il prof. Orazio Campagna, venuto a mancare da poco, è stato l'unico nell'ultimo secolo a pubblicare un libro sulla storia di Maierà. Nel 1985 vede la luce uno dei suoi lavori più amati e desiderati "Storia di Majerà", che per volere suo e dell'allora amministrazione comunale, fu distribuito gratuitamente in ogni famiglia Majeraiota. Un libro che raccoglie storia, tradizione, folklore, dialetto, di un popolo formatosi da tanti popoli. 
Durante l'ultimo anno di università, mentre ero impegnato con la mia tesi, spesse volte ho fatto visita a casa sua, e ogni volta mi accoglieva con un abbraccio, un sorriso e con la solita frase "cosa si dice in quel di Maierà?" per poi iniziare, senza neanche sedersi o darmi il tempo di prendere penna e foglio, a raccontare aneddoti, a spiegare origine di termini e modi dire. 
Nel 2008, quando mi occupai del Progetto PON "La civiltà contadina tra presente e passato", tenutosi presso l'Istituto Comprensivo di Maierà, ebbi l'onore, insieme alla maestra Benvenuto Adelina e ai ragazzi corsisti, di ospitare per un intero pomeriggio il prof. Campagna, il quale con i suoi racconti ipnotizzò nel vero senso della parola quei ragazzini di 9-10 anni. Fu un pomeriggio carico di emozioni: dopo una breve lezione in aula, ci recammo nel centro storico per visitare la Chiesa Madre e il Palazzo Ducale. Ogni pietra, ogni angolo del nostro paese, per lui era un tornare ragazzino, un riemergere di ricordi che per noi ascoltatori si tramutavano in storia viva davanti ai nostri occhi.
Nell'estate di quell'anno, quando come membro della pro-loco di Maierà mi occupai della presentazione del libro "Memorie della terra di Majerà" di Francesco Antonio Vanni (del quale leggerete spesso in questo blog) curato da Giovanni Celico e Amato Campilongo, provai ad invitare nuovamente il prof. Campagna a salire a Maierà e ad intervenire in qualità di storico e conoscitore di quei documenti della seconda metà del 1700, in quanto fonte principale del suo libro. Ma, in quell'occasione, per motivi di salute non fu possibile. Mi chiese, tuttavia, di leggere ai presenti un suo articolo, uscito sulla rivista Parallelo nel numero di gennaio/febbraio 2005.
Ed è proprio con quell'articolo che voglio ricordarlo anche adesso, per condividere insieme a tutti voi una pagina della storia di un uomo di Maierà, della memoria di Maierà, che non deve essere dimenticato, ma anzi ricordato e fatto conoscere alle nuove generazioni.

Quei primi di Settembre del 1943 - di Orazio Campagna (Majerà) 

Quando ci rendemmo conto che la grotticella di località Manco di Majerà non ci poteva più contenere, lasciammo la casa in paese e ci rifugiammo ad Alorio, la solare contrada, epiteto di Demetra. Ma anche li le nostre capanne non ci erano sufficienti: eravamo tanti! 
Allora decisi di passare la prima notte all'aperto: avevo vent'anni!  Mi distesi alla base e a ridosso d'un grosso ulivo. Quella sera, sul tardi, non passò il "ferroviere", era stato così battezzato il ricognitore inglese che solitamente sorvolava la costa. 
Intorno a mezzanotte iniziò l'inferno. A centinaia discesero i bengala, per cui fummo illuminati a giorno. Seguirono sventagliate di mitragliatrici. Furono intercettate intorno all'isola e a nord di Cirella delle zattere cariche di giovani soldati tedeschi che dalla Sicilia venivano traghettati sul continente. Erano i reduci di Tobruk e di El-Alamein.
La sparatoria durò quasi un'ora, ma per tutta la notte dall'alto del pianoro sentivo l'eco dei lamenti, sempre più flebili, giungere dal mare. Quei giovani, forse, invocavano l'aiuto delle loro mamme in una lingua a noi incomprensibile.
Al mattino i morti galleggiavano presso la battigia; anche le zattere crivellate erano lì, in parte ricoperte di sabbia e vi rimasero fino a quando, finita la guerra, un'impresa di Genova non ebbe l'incarico della demolizione.
Col viatico del sorriso della bionda ospite lametina, anche io iniziai l'iter verso una nuova vita in quei tristi inizi di settembre del 1943.

giovedì 5 gennaio 2017

Perchè un blog sulla storia di Maierà?

Salve amici lettori,
sono Pablito Sandolo. In molti mi conoscerete già, ma per tutti sembrerà strano pensarmi nella veste di blogger. Non nego che anche per me sia così data la mia poca confidenza con i social network, ma con il tempo ci farò e, spero, farete abitudine.
Creare un blog sulla storia di Majerà è un'idea che mi balena per la testa da un anno circa, ma per vari motivi quest'idea trova la sua concretizzazione solo adesso. Questo blog nasce per dare sfogo ad una mia esigenza, ossia quella di scrivere del nostro caro paese, del suo passato, della sua storia e, perché no, del suo futuro. La passione per la storia affonda le sue radici nella mia adolescenza. Fin da quando ero ragazzino, infatti, mi piaceva ascoltare i racconti delle persone anziane, passeggiare tra i vicoli del nostro paese e immaginare chi avesse percorso quelle strade prima di me, chi avesse vissuto in quelle case, quando fossero state costruite le chiese, i palazzi nobiliari, ecc. A darmi le prime risposte ci pensò la prof.ssa Anna Marzilli che durante i tre anni delle scuole medie ci fece ricercare, studiare e approfondire la storia di Maierà utilizzando come strumento indispensabile delle nostre ricerche il libro del prof. Orazio Campagna "Storia di Majerà". Da lì capii che la storia, la ricerca del passato, faceva parte del mio essere e che mi avrebbe accompagnato per tutta la vita. Trascorsi gli anni degli studi superiori e arrivato il momento di scegliere cosa fare dopo la maturità, la decisione di iscrivermi alla facoltà di Storia fu immediata. Forse una pazzia, una scelta poco saggia, visti gli scarsi sbocchi occupazionali, ma alla passione, a ciò che muove il cielo e le stelle, non si può dire di no. Gli studi universitari furono abbastanza pesanti ma ancora oggi li ricordo con immenso piacere , come con altrettanto piacere ricordo i colleghi ed i docenti. Uno dei momenti più intensi e più belli fu senza dubbio la stesura della tesi di laurea. Decisi di approfondire un periodo ben preciso della storia del nostro territorio, ovvero gli anni della dominazione Francese, contando sulla guida e l'aiuto del prof. Fausto Cozzetto docente di Storia Moderna presso l'UNICAL. Il titolo del mio lavoro di tesi infatti è Il Mezzogiorno tra rivoluzione giacobina e seconda restaurazione borbonica. Il caso dell'Alto Tirreno Cosentino.
Dopo la laurea ho continuato ad occuparmi di storia, per lavoro e per diletto. Per lavoro in qualità di docente di storia locale in progetti PON tenutisi nelle scuole di vario ordine e grado della zona, per diletto mediante organizzazione di manifestazioni con la pro loco e con la parrocchia Santa Maria del Piano in Maierà.
Ma, dopo questo breve excursus della mia di storia, torniamo al titolo di questo articolo: perché un blog sulla storia di Maierà? Come già detto uno dei motivi che mi ha spinto è senza dubbio la voglia di scrivere, leggere e parlare della storia del mio paese, ma non solo questo. In passato mi è capitato di scrivere per un giornale locale, tenuto da un'associazione, che però purtroppo ha avuto vita breve. Quell'esperienza tuttavia mi ha fatto capire che molte persone, soprattutto giovani, sono curiose, vogliono capire, vogliono riscoprire le proprie origini. Ecco, uno degli obiettivi di questo blog è proprio questo: creare un dibattito, un dialogo, intorno alla storia di Maierà. Mi piacerebbe che mediante questo blog i ragazzi, i giovani, i meno giovani, trovassero un attimo del loro tempo per pensare a ciò che è stato, a com'era il nostro paese. Il mio proposito è quello di scrivere periodicamente un articolo, una curiosità, una notizia, per poi discuterne insieme, approfondendola, per fare una ricerca comunitaria della nostra storia. Uno dei termini più in voga oggi è CONDIVIDERE. Ecco condividere vuol dire appunto fare di una cosa personale una cosa di tutti, una cosa per tutti. Maierà, la sua storia, le sue pietre, i suoi monumenti, sono di tutti. Parliamone, per riscoprire ciò che il tempo ha sepolto, per difendere il nostro passato, per riportare alla luce ciò che eravamo e così capire chi saremo.