Maierà, ore 5:40
Cari amici, è da un pò di tempo
che non scrivo, il tempo vola, le giornate passano senza accorgersene, e tra le
tante cose da fare, qualcuna poi resta solo un’idea, un progetto. Ma per
“fortuna” ci sono notti come queste, notti durante le quali non riesci a
dormire perché il caffè gentilmente offertoti da tua cognata non ti aiuta ad adagiarti
tra le braccia di Morfeo. Allora capisci che è il momento giusto per riprendere
un discorso lasciato in sospeso, per dedicarti a quel che stai pensando da
tempo.
In questo mio post voglio
parlarvi di uno dei monumenti più antichi di Maierà: la Chiesa di San Giacomo. Ad alcuni sembrerà strano sentire questo
nome, tutti conosciamo la Chiesa Madre,
dedicata a Santa Maria del Piano, la cappella della Madonna del Carmine e la
chiesa di San Pietro, ma nessuno di noi è mai andato a Messa a San Giacomo. Se
invece di chiesa iniziassi a parlare dello “scarazzo” di Scifò (la buonanima di
Angelo Ritondale), allora la cosa inizierebbe a farsi un po’ più chiara. Lo
scarazzo, ovvero il ricovero per le capre o le pecore, posto vicino al
cimitero, infatti è proprio la Chiesa in questione.
Ciò che vi resta, ciò che
vediamo, rappresenta uno dei monumenti più antichi presenti sul nostro
territorio. Stiamo parlando dell’VIII secolo d.C., uno dei periodi più floridi
per l’area alto tirrenica e soprattutto più vivace per ciò che riguarda il
cristianesimo meridionale. Numerosi gruppi di monaci orientali costretti all’esodo
da Bisanzio a causa delle lotte iconoclaste seguite all’editto di Leone III
l’Isaurico (717-740) e continuate dai suoi successori, cercarono rifugio nel
sud Italia. In Calabria i monaci italo-greci apparvero fin dal VI-VII sec. d.C,
in seguito all’invasione araba della Siria e della Palestina. Una seconda
ondata si ebbe nell’VIII secolo proprio a causa dell’iconoclastia. L’ultima
immigrazione si ebbe dalla Sicilia tra il IX e il X secolo, in seguito
all’occupazione araba dell’isola, la quale determinò una concentrazione di
monaci nella stessa Calabria, in Puglia
e in Basilicata, che sotto la guida di San Nilo da Rossano raggiunsero una
perfetta organizzazione in comunità. Fu così che prese il via l’imponente fenomeno
del monachesimo calabro-greco chiamato anche Basiliano in onore del suo
fondatore San Basilio Magno (+ 379).
Questi monaci amavano vivere in
luoghi poco abitati, nelle vicinanze dei boschi, e molto spesso, nei pressi di
grotte e caverne. I monaci Basiliani furono molto importanti per tutta la
regione e soprattutto per questa parte della Calabria: spinsero le popolazioni
a procurarsi maggiori risorse dalla terra, effettuarono dei dissodamenti,
bonificarono molte terre, edificarono Chiese, piccoli cenobi, aiutarono gli
abitanti nell’apprendimento delle lettere e diffusero l’allevamento del baco da
seta. Majerà godeva di una posizione ideale per lo stile di vita basiliano, ma
soprattutto era vicina ad una zona molto influente e molto importante per ciò
che riguarda il monachesimo calabro-greco, ovvero l’Eparchia del Mercoùrion ,
comprendente i centri della Valle del fiume Lao. Inoltre, a conferma della
ricchezza e della vivacità di questo movimento religioso in questo lembo di
Calabria, troviamo la figura di San Ciriaco da Buonvicino, monaco Basiliano
nato intorno al X secolo, che attirò le attenzioni di molti in quel periodo,
data la sua fama di santità già in vita.
Tornando a Majerà e alla nostra
chiesa di San Giacomo, essa, costruita su di un gruppo di grotte scavate nella
roccia che servivano da riparo ai monaci, al suo interno ci mostra la nicchia
dove veniva riposta l’icona del santo e una cavità ricavata nella parete
laterale dove venivano conservati gli oggetti sacri. A sud di essa, secondo
quanto tramandatoci dal nostro Francesco Antonio Vanni, vi era anche un’altra
chiesa dedicata a San Sebastiano, della quale però non rinveniamo alcuna
traccia. Nel 1750 secondo quanto narrato nelle Cronache di Majerà, era
possibile visitare entrambe le chiese, nonostante risultassero già profanate. Tuttavia
bisogna ricordare che anche le chiese di San Pietro e di San Nicola sono di
origini basiliane o calabro-greche.
La Chiesa di San Pietro, difatti,
ricadeva nel territorio dell’Abbazia di San Pietro a Carbonara, un tempo
importantissima abbazia basiliana. Non si può stabilire la datazione precisa,
ma da quanto scritto dal Vanni e ulteriormente approfondito dal Campagna,
sembra certo che in passato questa piccola chiesa doveva essere una delle più
fiorenti abbazie basiliane dell’area del Mercoùrion. Di San Pietro dei Marcani,
infatti, si hanno notizie e aneddoti sin dal X secolo; intorno alla metà del
1200, sotto l’egemonia Normanna mutò il suo nome in San Pietro a Carbonara, e
amministrava una vasta platea comprendente gran parte del territorio di Majerà.
![]() |
Ruderi San Nicola |
La chiesetta di San Nicola,
invece, situata alle spalle della Chiesa Madre, doveva essere un asceterio
affiliato al monastero di rito greco di Santa Maria del Casale - poi di San Domenico – (chiesa del Cimitero).
Della chiesetta di San Nicola oggi è possibile ammirare solo le pareti esterne,
in quanto profanata e destinata a diverso utilizzo, ma fino agli anni 30 del
secolo scorso si potevano notare gli affreschi sulle pareti perimetrali e su
quelle della piccola abside.
In conclusione una proposta, o meglio,
un’idea da proporre e da discutere insieme: e se illuminassimo la chiesetta di
San Giacomo? Mi spiego meglio….se dessimo rilievo a questo importante monumento
istallando dei fari, tanto da illuminare la chiesa così da farla vedere dalla
statale SS 18? Ai posteri l’ardua
sentenza ;-)
Nessun commento:
Posta un commento