sabato 20 maggio 2017

La Chiesa di San Giacomo


Maierà, ore 5:40

Cari amici, è da un pò di tempo che non scrivo, il tempo vola, le giornate passano senza accorgersene, e tra le tante cose da fare, qualcuna poi resta solo un’idea, un progetto. Ma per “fortuna” ci sono notti come queste, notti durante le quali non riesci a dormire perché il caffè gentilmente offertoti da tua cognata non ti aiuta ad adagiarti tra le braccia di Morfeo. Allora capisci che è il momento giusto per riprendere un discorso lasciato in sospeso, per dedicarti a quel che stai pensando da tempo.
In questo mio post voglio parlarvi di uno dei monumenti più antichi di Maierà: la Chiesa di San Giacomo.   Ad alcuni sembrerà strano sentire questo nome, tutti conosciamo la  Chiesa Madre, dedicata a Santa Maria del Piano, la cappella della Madonna del Carmine e la chiesa di San Pietro, ma nessuno di noi è mai andato a Messa a San Giacomo. Se invece di chiesa iniziassi a parlare dello “scarazzo” di Scifò (la buonanima di Angelo Ritondale), allora la cosa inizierebbe a farsi un po’ più chiara. Lo scarazzo, ovvero il ricovero per le capre o le pecore, posto vicino al cimitero, infatti è proprio la Chiesa in questione.
Ciò che vi resta, ciò che vediamo, rappresenta uno dei monumenti più antichi presenti sul nostro territorio. Stiamo parlando dell’VIII secolo d.C., uno dei periodi più floridi per l’area alto tirrenica e soprattutto più vivace per ciò che riguarda il cristianesimo meridionale. Numerosi gruppi di monaci orientali costretti all’esodo da Bisanzio a causa delle lotte iconoclaste seguite all’editto di Leone III l’Isaurico (717-740) e continuate dai suoi successori, cercarono rifugio nel sud Italia. In Calabria i monaci italo-greci apparvero fin dal VI-VII sec. d.C, in seguito all’invasione araba della Siria e della Palestina. Una seconda ondata si ebbe nell’VIII secolo proprio a causa dell’iconoclastia. L’ultima immigrazione si ebbe dalla Sicilia tra il IX e il X secolo, in seguito all’occupazione araba dell’isola, la quale determinò una concentrazione di monaci  nella stessa Calabria, in Puglia e in Basilicata, che sotto la guida di San Nilo da Rossano raggiunsero una perfetta organizzazione in comunità. Fu così che prese il via l’imponente fenomeno del monachesimo calabro-greco chiamato anche Basiliano in onore del suo fondatore San Basilio Magno (+ 379).
Questi monaci amavano vivere in luoghi poco abitati, nelle vicinanze dei boschi, e molto spesso, nei pressi di grotte e caverne. I monaci Basiliani furono molto importanti per tutta la regione e soprattutto per questa parte della Calabria: spinsero le popolazioni a procurarsi maggiori risorse dalla terra, effettuarono dei dissodamenti, bonificarono molte terre, edificarono Chiese, piccoli cenobi, aiutarono gli abitanti nell’apprendimento delle lettere e diffusero l’allevamento del baco da seta. Majerà godeva di una posizione ideale per lo stile di vita basiliano, ma soprattutto era vicina ad una zona molto influente e molto importante per ciò che riguarda il monachesimo calabro-greco, ovvero l’Eparchia del Mercoùrion , comprendente i centri della Valle del fiume Lao. Inoltre, a conferma della ricchezza e della vivacità di questo movimento religioso in questo lembo di Calabria, troviamo la figura di San Ciriaco da Buonvicino, monaco Basiliano nato intorno al X secolo, che attirò le attenzioni di molti in quel periodo, data la sua fama di santità già in vita.

Tornando a Majerà e alla nostra chiesa di San Giacomo, essa, costruita su di un gruppo di grotte scavate nella roccia che servivano da riparo ai monaci, al suo interno ci mostra la nicchia dove veniva riposta l’icona del santo e una cavità ricavata nella parete laterale dove venivano conservati gli oggetti sacri. A sud di essa, secondo quanto tramandatoci dal nostro Francesco Antonio Vanni, vi era anche un’altra chiesa dedicata a San Sebastiano, della quale però non rinveniamo alcuna traccia. Nel 1750 secondo quanto narrato nelle Cronache di Majerà, era possibile visitare entrambe le chiese, nonostante risultassero già profanate. Tuttavia bisogna ricordare che anche le chiese di San Pietro e di San Nicola sono di origini basiliane o calabro-greche.
La Chiesa di San Pietro, difatti, ricadeva nel territorio dell’Abbazia di San Pietro a Carbonara, un tempo importantissima abbazia basiliana. Non si può stabilire la datazione precisa, ma da quanto scritto dal Vanni e ulteriormente approfondito dal Campagna, sembra certo che in passato questa piccola chiesa doveva essere una delle più fiorenti abbazie basiliane dell’area del Mercoùrion. Di San Pietro dei Marcani, infatti, si hanno notizie e aneddoti sin dal X secolo; intorno alla metà del 1200, sotto l’egemonia Normanna mutò il suo nome in San Pietro a Carbonara, e amministrava una vasta platea comprendente gran parte del territorio di Majerà.
Ruderi San Nicola
La chiesetta di San Nicola, invece, situata alle spalle della Chiesa Madre, doveva essere un asceterio affiliato al monastero di rito greco di Santa Maria del Casale -  poi di San Domenico – (chiesa del Cimitero). Della chiesetta di San Nicola oggi è possibile ammirare solo le pareti esterne, in quanto profanata e destinata a diverso utilizzo, ma fino agli anni 30 del secolo scorso si potevano notare gli affreschi sulle pareti perimetrali e su quelle della piccola abside.

In conclusione una proposta, o meglio, un’idea da proporre e da discutere insieme: e se illuminassimo la chiesetta di San Giacomo? Mi spiego meglio….se dessimo rilievo a questo importante monumento istallando dei fari, tanto da illuminare la chiesa così da farla vedere dalla statale SS 18?  Ai posteri l’ardua sentenza ;-)

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